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Arte contemporanea: A Palazzo Caiselli Cristina Treppo presenta ” Riabitare “

L’arte contemporanea “invade” Palazzo Caiselli sede dell’Università degli studi di Udine, con la mostra personale di Cristina Treppo. Riabitare, è un percorso di lavori site specific che si snodano nel cortile e lungo le sale del palazzo, interagendo con le sale affrescate del palazzo. L’intervento, visitabile dal 2 al 23 dicembre, si popola di sculture e installazioni che delineano le ricerca dell’autrice, volta a indagare una oggettualità portatrice di emozioni.

Il filo conduttore dell’intervento è l’idea di abitare un luogo inteso anche, metaforicamente, come spazio della mente.
Nel cortile del palazzo sono collocati dei calchi in cemento che rimandano a vasellami del passato. Presente e antico si mescolano stravolgendo la percezione degli oggetti, che possono apparire come residui d’un cantiere, oppure il segno di una civiltà lontana. Accanto a questo stanno le “inclusioni”, sculture dove elementi d’arredo sono “imprigionati” da colate di cera che creano una situazione atemporale, provocando nello spettatore una sensazione che è opprimente e al tempo stesso rassicurante.

Il percorso espositivo continua all’interno del palazzo. Qui opere entrano in relazione con gli affreschi che caratterizzano alcune sale dell’edificio. Tra stanze e scaloni, appaiono delle opere che hanno la forma di oggetti decontestualizzati dalla loro funzione primigenia, oramai divenuta superflua. Ciò che domina questi lavori è il senso di equilibrio che regge la costruzione, in senso fisico ed estetico. Elementi che sono la manifestazione di un’incombente precarietà di questo ipotetico cantiere, che pian piano edifica materie tangibili ed emotive.

Ci troviamo davanti alle presenze di una sorta di casa ideale, che l’autrice ha definito “fantasmatica”, carica di un lato oscuro che può generare inquietudine e disagio. Lampadari di vetro scintillanti sono sospesi su strutture minimali e le vediamo galleggiare come delle misteriose visioni cariche di suggestioni.

La mostra,promossa dal Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Udine e dall’Associazione Culturale Ermes di Colloredo, è stata inaugurata venerdì 2 dicembre alle ore 12.00.
A conclusione della rassegna venerdì 23 dicembre sarà presentato a Palazzo Caselli un catalogo con testi di Denis Viva e Carlo Sala che documenterà le opere esposte.

Riabitare.
Cristina Treppo a Palazzo Caiselli

Università degli Studi di Udine

Palazzo Caiselli
vicolo Florio 2
2 – 23 dicembre 2011

orari:

lunedì/venerdì 8.00/18.30

Inaugurazione
venerdì 2 dicembre, ore 12.00

Energie Alternative : Il nucleare pulito e le reazioni piezonucleari

Gli studi condotti dal Dott. Fabio Cardone, con la collaborazione del CNR, del Ministero della Difesa e della Ansaldo Nucleare, hanno permesso di  verificare e validare la teoria secondo la quale in alcuni liquidi, sottoposti a compressioni meccaniche indotte da ultrasuoni, si generano delle reazioni nucleari caratterizzare da emissione di neutroni, senza che vi sia emissione di radiazioni di tipo alfa, beta o gamma.

Gli esperimenti condotti hanno dimostrato che, in determinate condizioni di potenza e frequenza, gli ultrasuoni producono nei liquidi il processo di cavitazione, ovvero la formazione di bolle di gas che successivamente implodono. A causa della tensione superficiale, gli atomi degli elementi presenti nel liquido rimangono intrappolati sulla superficie della bolla. Quando questa implode, gli atomi sono forzati ad avvicinarsi superando la barriera colombiana, i loro nuclei si fondono, i gas interni escono nel corso del collasso, ed è proprio a seguito della riduzione di volume che avviene durante  il collasso che si generano le reazioni.

Le reazioni piezonucleari producono energia e non danno luogo a scorie radioattive in quanto impiegano “combustibile” stabile.

I futuri impieghi in campo industriale delle reazioni piezonucleari potranno essere:

1) Riduzione della radioattività di elementi naturali e/o artificiali per mezzo di reazioni piezonuclearicon la  trasformazione dei rifiuti radioattivi in sostanze inerti (in tempi 10.000 volte inferiore al tempo naturale di dimezzamento radioattivo).

2) Produzione di reazioni piezonucleari endotermiche (es. produzione di sostanze utili da materie prime non radioattive).

3) Produzione di reazioni piezonucleari esotermiche (es. produzione di energia meccanica generata dal lavoro di espansione del vapore in turbina).

4) Produzione di radiazioni neutroniche per usi industriali quali ad esempio l’analisi e le prove su materiali.

I principali vantaggi sono che i neutroni vengono prodotti da sostanze stabili non radioattive per mezzo di un processo elettromeccanico che può essere iniziato e fermato  a piacimento.

Per maggiori approfondimenti è possibile consultare la seguente pubblicazione:

Video della relazione del Dott. Fabio Cardone al Politecnico di Torino sulle reazioni Piezonucleari

Fabio Cardone, ”Verso il nucleare pulito” Scoperta e Sfruttamento delle Reazioni Nucleari Ultrasoniche

GIORGIO VALENTINUZZI: FORME (PRESENZE) PLASTICHE.

L’analisi conduce ad investigare il gioco dell’arte, in particolare quello suggestivo dell’arte visiva. Tuttavia capita che l’indagine debba confrontarsi, al di là degli esiti materiali, con l’intenzione – spesso fuorviante – messa in atto dal “faber” nell’elaborare il progetto dell’opera, sino all’avvento di questa nella realtà.
Così cessata ai nostri giorni la stagione dei “grandi racconti” o dei “suggestivi eventi” da rappresentare in pittura, il contemporaneo offre un volto al realismo, intriso spesso di ludica follia. Per intendersi, l’artista ora utilizza – dandogli struttura fisica – il prodotto del meccanismo (ovvero le formalità tecniche) usato ed abusato dal “sistema culturale” proprio alla tradizione, ma coinvolgendolo scientemente entro i termini di un inedito processo realizzativo, motivato finalmente a proiettarsi per liberare la pittura dai suoi attributi “tradizionali”, quelli cioè che esploravano significati esauriti nella decorazione e l’inutilità.
Peraltro a tal punto l’intenzione dell’artista coltiverà l’obbiettivo di restituire attraverso le parvenze del ludico proprio i fondamenti della pittura da sempre gravida di simboli, con l’allusione che si spinge dunque a “risucchiare il passato”, pur servendosene in una sorta di “camouflage”, un abito che celi il miraggio di proiezioni future. Il fine è allora quello di giungere a dare nella stagione attuale dell’arte visiva un originale contenuto interno, vivificato da una linfa germinale che renda concettuale anche l’ipotesi, seppur singolare, di un’arte narrativa.
Tale evolversi dei tempi dell’arte,che provoca una progressiva confusione tra fantastico ed immaginario, convince Giorgio Valentinuzzi ad esaltare allora il”perturbante”, quel l”unheimlich” freudiano, che governa appunto la sua “intenzione”, puntando a render manifesto, attraverso il suo agire creativo, le potenzialità di un duplice fondamento, da rendere attivo esplorandolo: da un lato il ciclo video “Cosa faccio quando dipingo” , dall’altro quello delle pitture di “Forme plastiche”.
Della vasta prospettiva, che offre l’ampiezza del ciclo video, tratteremo altrove: qui infatti ci soffermiamo sulle prove, indicate per “Forme plastiche”.
Nello spazio dunque prescelto, per tale ricerca nel campo della pittura, l’intenzione è soggiogata tuttora dal “perturbante”, intenzione identificata, nella risoluzione dei suoi esiti materiali, assemblando della realtà unicamente ipotetici spunti, colti nel loro specifico interpretativo, volgendoli a comporre immagini attraverso inattese commistioni, quest’ultime in grado di istituire autentiche e significative sfide all’”allucinante seriosità” degli assunti visivi tradizionali.
Perché, nella pittura di Valentinuzzi, da sempre l’ombra del “perturbante” filtra la materia cromatica, disposta dal progetto nell’opera,”allusione” ad una fisicità ipoteticamente espressa: poiché l’autore ritiene che l’attraversamento della rete segnica e della composizione dei volumi, prodottosi dall’operazione allusiva, fa emergere inevitabili interrogazioni sulla formazione ibrida risultante, immediatamente “non familiare”, generata appunto nella sua origine da “più cose note”, peraltro non identificabili.
Di conseguenza vorremmo leggere tali “forme plastiche”, rese nel bidimensionale della pittura, innanzitutto nel senso di “presenze”.
Infatti l’artista manifesta in queste tele il conseguimento di una definizione espressiva, che potrebbe condurre a farle interpretare eredi di uno stadio di creatività “trasgressiva”: perché le forme, in apparenza intuibili quote antropomorfe, progressivamente acquistano la capacità di assumere una “presenza”, atta a far intendere l’arte – nella sua “condizione postmoderna” – strumento rifuggente da miti ed utopie altrimenti condizionanti. Fatto proprio per la metodologia, che sovrintende ad una visione delle singole prove, tale concetto motiva il giudizio di assistere ad una messa in opera di una “presenza” estranea al reale familiare, quello appunto che rinvia a delle quote corporee note, immaginando l’acquisto di tale resa pittorica, così rigorosamente definito nei suoi cromatismi, quale recupero estraneo alla realtà.
Valentinuzzi piega così l’opera ad essere mezzo e non espressione di una categoria dello spirito al fine di esercitare un ludico esempio del mutar del significato di una memoria plastica. Quindi una presenza, che cerca la propria
identità.

CHE COSA FACCIO QUANDO DIPINGO di Carlo Milic

Il nocciolo del tema da esaminare, in tale evenienza, è proprio il rognone. Ma quale rognone? Quello che Mr. Bloom, ulisside joyciano, pregustando un succulento pasto, acquista in una mattinata tanto satura d’eventi (in ordine alla letteratura europea) dal macellaio. Non diversa la sequenza delle immagini, legittimamente connesse, in una “consecutio” che non lascia dubbi, costellata nel ciclo video, personaggi Giorgio ed Edi: non si ignora allora, per lo meno “sotto cute”, che il protagonista, insomma il motore in talaltro affabularsi di immagini, sia proprio il rognone, anzi meglio, in questa evenienza ultima di radice filmica, la tela dipinta! Bloom infatti scende in strada per provvedersi in funzione del pasto; Giorgio, assistito da Edi, è a Paderno d’Udine per dipingere delle tele. Ciò che in parallelo accomuna i personaggi delle due distinte “storie” è l’individuazione di un comune tema centrale. Il rognone nell’ “experio in corpore vili” è destinato a selezionare i fluidi corporei, la tela dipinta gli umori dell’arte. Non dimenticando poi, sempre riferendosi alla tela, che questa è ad un tempo “donna, sposa e madre” nell’intento dell’arte e dell’artista: donna, perché organismo germinante; sposa, perché copula con l’artista per far maturare il prodotto d’arte; madre, perché in grado di dare vita all’arte medesima. Perché, dando una base certa al logico divenire dell’analisi fenomenologica, che coglie o comunque vorrebbe penetrare il nucleo dell’arte, il motivo di quella ricerca socio-antropologica tende a mettere a punto il filo conduttore che rende discernibile tale indagine. Così là dove l’agire, per giungere a render fisicamente concreti i più significativi fenomeni d’arte (e cos’altro dovrebbe essere il manifestarsi dell’opera d’arte nella sua conclusiva integrità?), deve innanzitutto render conto del suo fare ad un processo comunicativo, in questa contingenza, originariamente filmico.
“Cosa faccio, quando dipingo” è allora potenzialmente l’assunto di una summa di considerazioni riguardanti quella fase specifica, in bilico tra l’intuizione e l’emersione dell’immaginazione nella realtà. Un mosaico di alternative, fissate volta per volta in immagini, passibili di fornire argomenti, modi, tempi utili a decriptare il messaggio dell’arte, quel gioco meraviglioso e terribile, che ci dona oggetti, nella coscienza della loro elaborazione, difficilmente classificabili nell’ordine di una tradizione filosofica che distingue tra sapienza “ottenuta mediante fatica (ratio)” e sapienza “ricevuta (intellectus)” dall’anima in ascolto, in grado di cogliere l’essenza delle cose ed arrivare a comprendere il meraviglioso. Valentinuzzi ha dunque voluto farci avvicinare alla complessa essenza del tema in argomento, la pittura, dedicandogli quell’ampio ciclo video e quindi facendo capo “in primis” a quell’”epifania del momento intuitivo”, da cui germina perfino l’interpretazione del “come” e forse anche del “perché” delle mimesi in atto, da parte dei due personaggi, l’artista e l’assistente, Giorgio ed Edi. Perché in tale divenire d’immagini percepiamo come in ogni esperienza, in ogni nesso e rapporto, sussista molto di più di quanto l’ordinaria consapevolezza, l’io normale e quotidiano non riesca ad afferrare.“Cosa faccio quando dipingo” va perciò inteso anche per il suo valore di tentativo d’investigazione: quasi un’autoanalisi, che spazi entro territori ambigui egualmente di difficile censimento, il ludico e lo psico-patologico, sino a raggiungere l’indeterminabile zona dell’estraniamento (in russo “ostranenie”). Non proponiamo qui beninteso la tesi che il pittore operi in una condizione di distacco sciamanico e tuttavia, scorrendo le immagini del ciclo video, siamo disposti ad accettare l’ipotesi, peraltro ben asseverata, che, estraniandosi l’artista, la sua fantasia alberghi nell’inconscio. Pertanto ciò, che vediamo nelle quarantatre “stazioni”, va considerato opportunamente su due piani ben distinti, coesistenti, ma non comunicanti: il periodare del segno e del colore sulla tela da un lato, una volontaria fuga dall’”impegno” dall’altra. Tale “evasione” freudianamente si giustifica secondo una modalità liberatoria, modulata come sgravio dall’impellenza costrittiva della coesistente pittura; e potrebbe rappresentarsi – come peraltro appare dalle immagini video – come un voluto “alleggerimento” della situazione creativa, un voler porre cioè ostentatamente l’accento sul versante ludico del gioco dell’arte.

CHE COSA FACCIO QUANDO DIPINGO di Giorgio Barassi:

Il caminetto fa la sua parte, mentre Valentinuzzi lavora e parla, si arrabbia, dialoga con Edi, il suo aiutante. Il mondo della creazione pittorica ha un suo rituale, ben diverso da quello dell’ immaginario collettivo. Non ci sono pittori in camice bianco…e basco largo. Non ci sono pittori che sanno di poesia a un metro di distanza. Non ci sono pittori. E quelli che ci sono, “fanno”, quando dipingono. Corredando la propria azione creativa con la nostalgia cantata da un altoparlante che sa di Al Bowlly, Bing Crosby ed altri eroi. Lo scenario è chiuso dai dialoghi, tra parole mozzicate e qualche citazione, come quel “ Gropius “ che esce dalla bocca del maestro come una bestemmia da una bocca toscana…ma che bel culo, maestro! Hai ragione, caro Valentinuzzi, qualcuno ha detto che la pittura è una commedia che si consuma con dolore…per dirlo aveva tempo, evidentemente. Condivido in pieno il tuo parere, assolutamente. Differenza tra poesia e pittura? Leonardo diceva…diceva che l’una (la poesia) arriva al cuore attraverso il senso meno nobile (l’udito). La pittura vi arriva attraverso il senso più nobile (la vista). Io dico che la pittura italiana, per ciò che comprende, ha bisogno di eroi e non di chiacchieroni. Oggi questi ultimi sono abbondanti ed eccedenti la misura. La breve e intensa durata di uno di questi episodi allinea la creatività di Valen tinuzzi a quella di certi informali. La brevità dell’ operazione artistica come fatto che testimonia l’essenziale. Di bello e vero c’è che Valentinuzzi concretizza in quei pochi attimi le attese creative di una vita che si dispone al nostro sguardo tra tavolo, schermo, carte, oggetti…come un modo per dire che lui é lì, é e sarà così e non cambia. Questo é dei grandi artisti. Onore al merito ! “…col penelòn te lo meto nel furgòn…” “…perchè el nero sporca el cùl…” So che il mio intervento è ormai minimo, al cospetto del fiorire di critici e commentatori d’ arte, ma voglio solo dire che nei dialoghi c’è il completamento de…ll’ atto creativo, l’umanità sognante che esce da quei canoni in cui abbiamo tutti ingabbiato il fatto della creazione artistica. Con Valentinuzzi capiamo che Michelangelo bestemmiava col Ghirlandaio, che Piero mandava affanculo il ragazzo di bottega, che Mantegna inveiva in mantovano “..la vàca…” verso chi chiedeva invece di eseguire…questa è la vera pittura! Un artista che non bestemmia non vale molto. Vuol dire che tutto gli viene come lo pensa, che tutto va come lui vuole o inventa…impossibile! “Guarda quanto colore per fare un culo”. L’amara constatazione del creatore verso la sua creatura dà il senso della eterna lotta tra la ragione e l’ istinto, un’altra delle motivate forme costitutive del lavoro di Valentinuzzi: un grande artista in un mondo troppo piccolo.

La valle dell’Ova a Pontebba?

E’  con verbale di deliberazione della giunta Comunale di Pontebba n°2011/00122 pubblicato il 18/11/2011 , che  è stata approvata una bozza di accordo commerciale per l’avvio di una collaborazione con la soc.  di progettazione di Kasa-Uovo.

“Vivere in un guscio primordiale a contatto con la natura. Per dimenticare il pazzo via vai che ci travolge. Per tornare ad una vita costruita intorno al focolare”. E’ con queste parole che Roberto Casati, ideatore del progetto, presenta attraverso il sito ufficiale la sua  avanguardistica idea: Kasa-Uovo.

L’idea racchiude in se tutti i più moderni concetti di ingegneria ed eco sostenibilità: efficienza energetica, recupero e riciclo delle acque, benessere termoigrometrico, versatilità progettuale, sicurezza antisismica, bassi costi di gestione e di realizzazione.

un nuovo concetto di casa che nella sua forma estetica ha sicuramente la caratteristica più evidente. La struttura  è un prefabbricato a forma di uovo ma le  geometrie interne sono perfettamente rispettose della tradizione architettonica. Un appartamento a forma di uovo che si costruisce  montando e collegando le varie parti proprio come con  un kit di assemblaggio.

Per chi vuole approffondire , può farlo visitando il  sito ufficiale di Kasa-Uovo al seguente link:  http://www.casauovo.it/

 

Il federalismo e i beni collettivi

Terra di foreste e di incontro fra civiltà diverse, la Val Canale è anche terra di antichissime Comunioni familiari, che gestiscono tuttora il proprio patrimonio collettivo con passione e sensibilità. Per questa ragione, domenica 4 dicembre, sarà presentato anche nel Tarvisiano il volume “Dalle Vicinie al Federalismo. Autogoverno e responsabilità”, che prende le mosse dall’analisi delle più antiche forme di gestione collettiva del territorio regionale per riflettere sulle rifo rme istituzionali più urgenti ed attuali. L’appuntamento, promosso dal Coordinamento regionale della Proprietà collettiva e dall’Associazione “Carlo Cattaneo” di Pordenone, che ha dato alle stampe il libro  (www.associazionecattaneo.com), si svolgerà domenica 4 dicembre a Fusine Laghi, alle ore 17 presso la “Kantina nelle Alpi Giulie” (in via delle Ponze). Nella caratteristica osteria di montagna, nota per le sue iniziative culturali, si confronteranno gli autori dei contributi del libro dedicati alla Proprietà collettiva. Moderati dal professore di geografia economica-politica dell’Università di Trieste, Igor Jelen, interverranno fra gli altri la studiosa di Beni comuni Nadia Carestiato, il presidente del Coordinamento regionale della Proprietà collettiva, Luca Nazzi, il presidente dell’Associazione dei Consorzi vicinali della Val Canale, Martino Kraner, e il presidente dell’Associazione “Carlo Cattaneo” di Pordenone, Davide Scaglia.